Di Maria Luisa Abate. Verona, Teatro Filarmonico. Bentornata danza! Brilla la coppia Manni – Andrijashenko attorniata dal Corpo di Ballo dell’Arena. Orchestra areniana dal vivo diretta da Pähn.

Attesa da molti anni, premiata da subitanei sold-out anche nelle date aggiuntive, accolta entusiasticamente, la danza ha fatto la sua rentrée al Teatro Filarmonico di Verona con Il lago dei cigni. Iniziamo da quello che secondo noi, senza voler sminuire gli altri fattori, è stato il pregio più notevole di questa produzione: un’orchestra dal vivo.

La danza purtroppo è ormai divenuta sinonimo di musica registrata, per svariati motivi come la riduzione dei costi artistici, la facilità di spostamento durante le tournée, fino a quella certezza sui tempi musicali che dà ai ballerini sicurezza: illusoria e non paragonabile all’attenzione profusa da un direttore d’orchestra. Lapalissiana poi l’abissale differenza qualitativa. L’Arena di Verona, grazie al direttore artistico Cecilia Gasdia, non è venuta meno alla sua fama di eccellenza chiamando sul podio Vello Pähn, Maestro dalla vasta e specialistica esperienza internazionale. Il risultato è stato una delizia per le orecchie oltre che un atto doveroso per la musica, di tale autonoma bellezza da essere spesso eseguita in forma sinfonica. Sotto la bacchetta di Vello Pähn, la sempre ben preparata Orchestra di Fondazione Arena di Verona si è egregiamente destreggiata nella partitura di Čajkovskij che presenta non poche complessità, anche a causa dei molti rimaneggiamenti che subì di pari passo alle modifiche apportate alla trama già da quando il compositore era in vita e in seguito. Analoghi e numerosi oltre che prestigiosi interventi interessarono le coreografie, fino ad avere oggi un titolo tra i più conosciuti e amati al mondo.  

A essere messa in scena a ridosso delle festività natalizie è stata la coreografia di Evgenij Polyakov, “rimontata e ripresa” (era l’esatta dicitura nel vademecum di sala) da Enrica Pontesilli che ha collaborato per lunghi anni col Maestro. Una versione inusuale e perciò interessante, che, per fare due esempi tra i tanti, non ha previsto la celeberrima Morte del Cigno e ha attribuito un ruolo centrale a Rothbart, non un essere malvagio ma piuttosto un mentore che introduce il giovane Principe Sigfrid ai beni così come ai mali della vita.

Cariche di suggestioni antiche, tutt’altro che desuete e anzi da perpetuare in quanto arte preziosa, le scene di Michele Olcese con i fondali dipinti da Paolino Libralato, ad ambientazione site-specific nelle ville veronesi immerse in lussureggianti giardini o sotto i mastodontici lampadari del salone delle feste di un palazzo, infine sulle rive contornate da colline del Lago di Garda rischiarato dalla luna (luci Vinicio Cheli). Fondali bellissimi che tuttavia hanno di molto ridotto lo spazio scenico, sia nella profondità che nella larghezza. Ultra colorati e assai curati i costumi di Francesco Morabito (con l’assistenza di Livio Savini)

Del Corpo di Ballo, uno dei fiori all’occhiello di Fondazione Arena di Verona, coordinato da Gaetano Bouy Petrosino, molti sono stati i nomi che si sono alternati sotto i riflettori nelle sei repliche. Alcuni erano giovani promesse forti di un’ottima base scolastica ma con qualche particolare ancora da affinare come il sincronismo, altri erano talenti pienamente formati come gli applauditi protagonisti dei divertissement “di carattere”. Tra tutti, merita una citazione il simpatico e notevolissimo Giullare di Simone Pergola. Rothbart, come accennavamo in questa versione quasi un tutore, era affidato a un artista di grande valore espressivo oltre che tecnico: Alessandro Macario, che ha fatto del ruolo una sorta di contraltare nero al principe biancovestito, riproponendo con intuizione felicissima il dualismo presente in Odette/Odile.

Inutile negare che l’esito non sarebbe stato così lusinghiero senza le fulgide stelle della coppia Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, l’una Étoile e l’altro Primo ballerino del Teatro alla Scala, dove hanno già in passato vestito i panni di Odette/Odile e del Principe Sigfrid. E che, senza rivangare le arcinote notizie di cronaca, vantano con la città dell’amore per antonomasia un feeling particolare. Timofej Andrijashenko dal portamento nobile ed elegante, ha denotato un certo distacco assai appropriato alla primigenia natura del Principe, addolcito dall’amore sincero per la donna-cigno. Il Cigno bianco ha assunto la grazia e la dolcezza di Nicoletta Manni, la sua tecnica ineccepibile, la precisione senza la minima sbavatura, la ben nota flessuosità emersa anche nel magistrale lavoro di braccia e di spalle, e la capacità di volare sulle punte come se il peso fosse quello della superficie lunare e non terrestre; mentre invece come Cigno nero Manni ha tirato fuori un temperamento deciso, creando un contrasto tra Odette e Odile senza negarne la natura di due anime appartenenti allo stesso personaggio.

Il clima era di festa e il pubblico attende in futuro di applaudire spettacoli di danza con maggiore frequenza. Del Lago dei cigni manca ancora una data, quella dell’ultima notte dell’anno, anch’essa sold-out da tempo.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al teatro Filarmonico di Verona il 20 dicembre 2024
Foto Ennevi

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