In vino veritas. L’antico proverbio potrebbe riassumere la regia poco indulgente alla farsa e molto attenta alla credibilità, alla verità dei personaggi, dettata da Antonio Albanese. Artista per lo più dedito ad ambiti diversi da quello operistico, nel quale ha saputo muoversi egregiamente confezionando un prodotto in cui la sua identità è emersa nel rispetto della musica di Gaetano Donizetti. Sulla definizione di “dramma buffo” si è innestata, producendo frutti gustosi, la sensibilità di Albanese che ha affermato di intendere «la comicità come strumento per svelare verità profonde, altrimenti drammatiche».

L’allestimento di “Don Pasquale”, ideato nel 2013 per il Teatro Filarmonico come omaggio alla terra veronese e alle sue tradizioni vitivinicole, ha funzionato egregiamente allora come nella ripresa 2019 affidata a Roberto Maria Pizzuto. I contorni sfumati del primo atto hanno progressivamente assunto consistenza frizzante ancorché garbata, nell’alternanza tra gag misurate e un romanticismo dalle tinte pastello. Andando in ciò all’unisono con la direzione d’orchestra di Pier Alvise Casellati, anch’essa giostrata tra languori romantici e slanci briosi, meditati più che frutto di impeti passionali, ai quali ha aggiunto smalto l’orchestra areniana. Sia in buca che sul palco si è teneramente sorriso, con sincerità di sentimenti non annacquati nel burlesco.

Infatti i travestimenti messi in atto per ingannare Don Pasquale – illuso di aver sposato una educanda “semplicetta”, poi fintasi insopportabilmente capricciosa, sotto sotto “scaltra e malandrina” – con bella intuizione non sono stati tradotti in maschere da commedia ma in caratteri reali e attuali. Indirizzando così il buffo donizettiano – presente nelle controscene dei mimi / domestici incurvati dal peso degli anni e da troppi bicchieri di vinello – su registri di una ironia malinconica che ha lasciato intravedere dentro al contenitore esterno una sottile vena di tristezza, di dramma interiorizzato: concetto ben espresso dall’assolo di tromba.

Un’allegria traslucida come la gigantesca parete con allineate migliaia di bottiglie che ha fatto da sfondo al primo atto nelle scenografie di Leila Fteita, la quale ha splendidamente unito toni favolistici e descrittivi, assecondando il percorso intimistico, passando dalle opaline trasparenze del vetro e dalla solidità delle casse di pregiato Amarone, al tripudio di colori dei vigneti della Valpolicella. Tra i filari, fioriti in una fiabesca primavera, si è mossa Norina in calzoncini, calzettoni sopra al ginocchio e stivaloni, spiritosa citazione al film “Riso amaro” compiuta dalla costumista Elisabetta Gabbioneta. Scesa la sera, la luna da cartolina ha rischiarato con pallori romantici la serenata di Ernesto. Per il regista Albanese, il linguaggio cromatico è stato mezzo per delineare la psicologia dei personaggi e dare spazio alla sfera dei sentimenti.

La lodevole parsimonia nelle marcature caricaturali ha permesso a Carlo Lepore di delineare un Don Pasquale poco babbeo, piuttosto un signore attempato preda della classica crisi di mezza età; un personaggio quindi profondamente umano. Lepore ha centellinato le inflessioni buffe nel canto tornito ed omogeneo, non derivanti da semplici escamotage ma da un umorismo sottile, basato sulle circostanze. Caratteristiche di elegante sobrietà espresse parimenti da Federico Longhi, Dottor Malatesta mai macchiettistico, dalla vocalità bella potente ed espressiva, con smorzature ottimamente declinate al pari del fraseggio. Nella parte di Ernestoera Matteo Falcier, tenore chiaro e leggero; innamorato timido, dalle esternazioni di giovanile freschezza. Millimetricamente tarata sul ruolo di Norina, Ruth Iniesta ha padroneggiato con solidità tecnica e interpretativa, dizione perfetta e fraseggio accurato, sia le pagine poetiche che quelle necessitanti di uno squillo potente o ancora di agilità e duttilità, brillando nei registri sovracuti magnificamente proiettati. Divertente il Notaro di Alessandro Busi, mentre il coro preparato da Vito Lombardi ha mantenuto compattezza di canto anche durante l’allegra invasione tra le poltrone della platea.

Recensione di Maria Luisa Abate

Foto Ennevi per gentile concessione di Fondazione Arena di Verona.
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 28 febbraio 2019