Di Maria Luisa Abate. Verona, Teatro Filarmonico: il titolo raro ha debuttato con successo nell’edizione critica e in un nuovo allestimento.
«Un grande sforzo da parte dei cantanti che hanno dovuto imparare un’opera che probabilmente non avranno più occasione di cantare nella vita». Ha centrato l’eccezionalità della situazione il direttore d’Orchestra Francesco Ommassini, nel corso della conferenza stampa di presentazione di un titolo estremamente raro: “Falstaff ossia le tre burle” che Antonio Salieri scrisse nel 1799. Un’opera comica tra le più riuscite nella sua vasta produzione, che presenta quasi nessun punto di contatto con il più noto Falstaff musicato da Verdi (nel quale ad esempio le burle sono due), se non la comune fonte ispiratrice da Le allegre comari di Windsor di Shakespeare. E qui ci fermiamo perché l’operazione veronese, giustamente, non intendeva proporre il confronto Salieri-Verdi bensì ridare luce a un’opera caduta nell’oblio e a un compositore bistrattato, schiacciato dal ritrito paragone con il coevo Mozart nel quale pure evitiamo di addentrarci. È il momento di sganciare Salieri dai commenti routinari e considerarlo per il suo valore a se stante: un compositore assai apprezzato alla sua epoca, che storicamente si colloca dopo la rivoluzione mozartiana e prima del rinnovamento rossiniano.
L’attuale messa in scena rappresenta un duplice omaggio: celebra i 200 anni dalla morte di Salieri ed evoca la riapertura post bellica del Teatro Filarmonico di Verona avvenuta 50 anni fa proprio con questo titolo. Ma la magnifica operazione intrapresa dal Sovrintendente e Direttore artistico Cecilia Gasdia per inaugurare la Stagione 2025 non si è limitata a omaggiare il duplice anniversario.
Infatti il lavoro sul Falstaff di Salieri ha avuto inizio molto prima di approdare in teatro, nelle biblioteche dove ha preso forma l’edizione critica curata dalla musicologa docente e critico musicale prof.ssa Elena Biggi Parodi e pubblicata da Ricordi. «Sono pochi i teatri che fanno queste operazioni: si contano sulle dita di una mano» ha rimarcato Marco Mazzolini General Manager UMPG Casa Ricordi. Un certosino lavoro di studio e di confronto con tutte le versioni esistenti, in quanto Salieri rimaneggiò la partitura per molti anni, mescolando opera seria e opera comica. Degli esiti dello studio, che ha portato ad approfondire con maggiore esattezza la figura di Salieri, si è potuto leggere un interessante sunto nella prolusione al libretto di sala.
La nuova produzione ha debuttato in prima assoluta come anello di congiunzione tra la Stagione invernale dell’Arena di Verona che al Teatro Filarmonico concentra chicche imperdibili, e il Festival “Mozart a Verona”, quest’anno dedicato a celebrare anche il compositore di Legnago, che in realtà non era rivale del salisburghese come una certa tradizione letteraria e cinematografica ha distortamente tramandato: tra i due c’era solo una normale competizione professionale.
Il librettista Carlo Prospero Defranceschi si è avvalso anche di espressioni scherzose, astruse e sgrammaticate per amplificare l’effetto comico di quest’opera in due atti e un numero elevato di scene. E ha gettato così le basi per il lavoro complessivo sull’espressività che ha caratterizzato il presente allestimento. Espressività che nel caso di Falstaff riveste un ruolo determinante in ogni sua declinazione: dalla parola al canto alla recitazione, dalla musica agli elementi visivi e che ha richiesto uno sforzo corale e sinergico, dagli esiti ottimi.
Iniziando dal disegno registico ideato da Paolo Valerio, il quale ha sapientemente unito stile contemporaneo e antico riuscendo a integrarli con gusto e senza conflitti. Due grandi pannelli/quadri semoventi (scene e projecton design di Ezio Antonelli) leggermente trasparenti (resi più o meno tali dalle luci calibrate da Claudio Schmid) hanno fornito uno sfondo liquido all’ambientazione che il regista, anziché nella Windsor quattrocentesca, ha re-immaginato in una Venezia settecentesca, patria per eccellenza di seduttori e libertini (proprio quest’anno viene varato in Italia il progetto multidisciplinare e itinerante “Casanova 300” in occasione del trecentenario dalla nascita del celebre veneziano. Vedi qui). Una città rimasta sullo sfondo, evanescente, onirica, tremolante come uno specchio d’acqua in cui i palazzi e i giardini si sono riflessi privi di consistenza fisica, sospesi tra reale e irreale, tra verità e sogno.
I costumi erano settecenteschi, con la digressione estrosa delle creature fatate del bosco, disegnati dal regista con cura nei dettagli e colori accesi dando (evviva!) un meritato colpo di spugna alla stucchevole abitudine del monocromatismo oggi tanto in voga. Sfoggio cromatico che Paolo Valerio ha trasferito nella recitazione, vivace, briosa, rispettosa dei dettami autorali, ricca di scene divertenti e (quasi) mai macchiettistiche, accentuate dalle esilaranti controscene affidate a mimi (movimenti coordinati da Daniela Schiavone). Su questa base Valerio ha edificato la costruzione dei personaggi, ironici e autoironici, che fanno ridere perché sanno innanzitutto ridere di se stessi.
Nell’atteso coup de théâtre conclusivo il grasso, pingue, sfatto Falstaff, beffato e umiliato, riconoscendo di non essere il gran conquistatore che avrebbe voluto far credere, si è tolto l’imbottitura del pancione e con essa ha dismesso la maschera di rubacuori da strapazzo per mostrarsi nella sua autentica natura. Paolo Valerio infatti ha messo in scena la diversità del protagonista, persona maltrattata da tutti e allontanata dalle feste. Per il regista un esempio di resilienza perché alle burle, ossia alle punizioni scherzose ma dolorose (acqua, bastone e fuoco) ha reagito con un sorriso. Un «bullo bullizzato» che nel finale ha saputo riscattarsi.
Sul podio è salito Francesco Ommassini. Di lui si è percepito il minuzioso studio della partitura scevro da appesantimenti, che ha privilegiato un’atmosfera giocosa e allegra, con accenti timbrici di buon gusto, con dinamiche ben calibrate e protese, anche nei pieni orchestrali, alla leggerezza. Risultato, questo, impegnativo da raggiungere per l’Orchestra di Fondazione Arena di Verona solitamente avvezza ad altri repertori e che anche in questa occasione ha dimostrato la propria versatilità. Una nota di merito va tributata al clavicembalo / basso continuo di Federico Brunello, che ha permesso di apprezzare i contrasti voluti da Salieri tra recitativi e aperture liriche, e ha cavalcato la scia spiritosa inserendo nelle proprie digressioni una breve citazione mozartiana.
Il cast, impegnato in ruoli vocalmente assai impegnativi, è entrato nel mood giusto tributando pari importanza all’espressività sia canora che scenica. Solo questa completezza di approccio poteva dare gli ottimi risultati che si sono registrati.
Nel ruolo del titolo, Giulio Mastrototaro, oltre che per la voce potente e di tenuta omogenea giostrata sulla tessitura bass-baritonale, ha colpito per la precisione nel sillabato veloce e per quella fusione tra fraseggio e attorialità con cui, rivelandosi un autentico istrione, ha accentuato la natura da risibile seduttore di Falstaff, la sua avidità, il suo essere sbruffone e vanaglorioso, risultando irresistibilmente simpatico agli occhi del pubblico.
Votato prevalentemente alle sfumature coloristiche e ai filati morbidi delicati e di classe Marco Ciaponi, tenore belcantista dal timbro rilucente, che ha lavorato finemente di cesello sulle arie di Mr. Ford, geloso e sospettoso nei confronti della moglie insidiata dal libertino. Sposa invece onesta e devota, desiderosa di punire lo spasimante burlandosi di lui, impersonata con spiccata musicalità dal soprano Gilda Fiume, dall’emissione aggraziata in tutta la gamma, dal fraseggio e dai colori eleganti, dalla verve contagiosa soprattutto nella scena in cui si è travestita da fanciulla tedesca dal linguaggio maccheronico.
Il mezzosoprano Laura Verrecchia ha sfoderato voce setosa e piena, ha superato agevolmente le agilità e ha dotato Mrs. Slender di repentini quanto divertenti scatti d’ira. Mentre il di lei consorte era Michele Patti, dalla gelosia più moderata e ben differenziata rispetto a Ford, che ha controbilanciato il piglio appropriatamente distaccato e quasi apatico di Mr. Sendler con un canto incisivo e lodevolmente basato sulla parola.
Hanno completato il cast con la dovuta vivacità musicale e attoriale, la cameriera Betty di Eleonora Bellocci che ha svolto una recita di notevolissimo valore, e il tonante Romano Dal Zovo, il servitore Bardolf, personaggio tra il grezzo e il filosofo. Il Coro era preparato a puntino con la consueta precisione da Roberto Gabbiani.
Auspichiamo di veder presto partire in tournée questa bella produzione che meriterebbe anche l’uscita in CD e DVD, e che al suo debutto ha attirato, come era prevedibile, stuoli di pubblico, di esperti, di stampa e di critica. Tra i volti noti presenti alla prima, abbiamo notato anche il Sovrintendente e Direttore artistico Cecilia Gasdia, il Sottosegretario alla cultura Gian Marco Mazzi, il regista Stefano Poda che hanno unito i propri consensi a quelli del pubblico.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 19 gennaio 2025
Foto Ennevi
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