Di Maria Luisa Abate. Verona, Teatro Filarmonico: nuovo allestimento ispirato alla psicanalisi del titolo di Strauss. Di qualità cast e direzione.
Siamo agli inizi del Novecento, in quel breve momento di transizione che fu la Repubblica di Weimar, subito dopo la fine della Prima Guerra mondiale e prima della Seconda. Un periodo storico in bilico, schiacciato tra due epoche possenti, contrassegnato da instabilità politica e di potere. Il Re Agamennone /Kaiser Guglielmo II è stato ucciso da poco (Guglielmo in verità abdicò, ma il senso non cambia). La trasposizione temporale della Micene di Sofocle del 410-20 a.C. immaginata dal regista Yamal das Irmich ha presentato il mito nel suo rinnovarsi nel tempo trovando nuove assonanze. Elektra fu musicata da Richard Strauss attingendo alla fonte poetica di Hugo von Hofmannsthal. L’opera in un atto ebbe una lunga gestazione, dal giugno 1906 al settembre 1908 e debuttò a Dresda nel 1909, facendo scalpore.

Forte quindi è, nell’opera, l’influenza del pensiero novecentesco. In particolare, ha spiegato il regista nelle sue note, riferito alla nascita della psicanalisi: «Freud stesso definì il complesso di Elettra come l’analogo femminile del complesso di Edipo». Matrice portata avanti coerentemente nel nuovo allestimento ideato per il Teatro Filarmonico di Verona, dove il titolo è stato rappresentato per la seconda volta in 50 anni. Prosegue così la missione di Fondazione Arena di Verona di fare della stagione invernale un punto di riferimento per la riscoperta di titoli rari.
Yamal das Irmich, giovane regista che collabora stabilmente con l’Arena da molti anni e che vanta un bel curriculum in diversi teatri, ha quindi riletto il mito degli Atridi in chiave psicanalitica, venandolo di slanci proto-femministi. Partendo dal linguaggio crudo del libretto che vede, ad esempio, le ancelle paragonate a cani, il regista ha suggerito, e supportato dall’inizio alla fine, il processo in evoluzione della consapevolezza femminile non solo in ambito familiare ma anche nella società.

Per la figura di Clitennestra ha preso a prestito il dipinto che raffigura la poetessa e giornalista tedesca Sylvia Von Harden. Il pittore Otto Dix, arrivato a Berlino nel 1926 quando era la capitale della Repubblica di Weimar, la ritrasse brutta e sprizzante antipatia, tuttavia perfetta esponente di un’epoca ormai sull’orlo della decadenza. Con lo stesso abito a scacchi rossi e neri e il medesimo taglio di capelli alla garçonne del dipinto, Clitennestra ha nella messa in scena rappresentato la vitalità del presente, pur ancorato saldamente a ciò che è avvenuto prima. Delle sue due figlie, Crisotemi non sopporta più la reclusione in casa e vorrebbe fuggire e darsi ai piaceri della carne. Lei è il futuro, la voglia di andare avanti. Elettra al contrario è soffocata dal peso del passato, invischiata nei meandri della mente.

In modi diversi, le due fanciulle si ribellano all’ordine costituito dopo la morte di Agamennone /Guglielmo, la cui uccisione a colpi d’ascia è stata mostrata in controluce dietro una tenda dai ricchi drappeggi, valorizzata in molteplici modi dalle stupende luci (di Fiammetta Baldiserri). Il suo ritratto in divisa ed elmo chiodato campeggiava sul caminetto e il sottostante altarino di candele si è infiammato in una sorta di piccolo falò rituale (peccato il filo di innesco multiplo troppo visibile) che ha strizzato l’occhio alle antiche pratiche magiche della reggia di Micene. Mentre l’atmosfera da cabaret che dilagava nella Berlino durante la Repubblica di Weimar, capitale della moda, del vivere sfrenato, della rilassatezza di costumi, ha invaso la signorile dimora in essenziale stile Bauhaus (scene di Alessia Colosso) affollata di variopinti indovini, improbabili stregoni, moderne fattucchiere, mistificatori, figure dalla sessualità ambigua e dagli abiti bizzarri (costumi di Eleonora Nascimbeni).

Agognando e perseguendo ossessivamente i suoi miraggi, Elettra nell’ultima scena ha abbandonato le vesti per indossare la divisa militare del padre e poi si è dipinta due baffi neri sul volto. Tutto vano perché non sarà un’eroina ante litteram del woman power, nonostante in lei siano racchiuse anche le aspirazioni della madre e della sorella. A sedere sul trono, posto sopra una scalinata che evocava in miniatura un tempio greco, sarà il fratello Oreste, creduto morto e poi ricomparso assieme a un piccolo drappello di soldati. “Morgen gehört uns” (“Il domani è nostro”) campeggiava su uno striscione, mentre il quadro del Kaiser veniva coperto da una bandiera raffigurante uno schiavo nell’atto di spezzare le catene. Elettra si accascerà al suolo stremata dalla danza delirio della mente. La morte sarà per lei il supremo atto liberatorio.

Le parole del libretto come le note di Strauss sono esplicite e virulente; graffiano significativamente le orecchie degli ascoltatori. Sul podio è salito l’esperto maestro Michael Balke, che già avevamo apprezzato a Verona qualche anno fa nella straussiana Salome (recensione vedi qui). Il direttore ha affilato la tensione drammatica, ha ulteriormente coagulato le condensazioni straussiane di suono senza svilire i tessuti melodici; ha esaltato la forza espressiva e la violenza dinamica della partitura, sia in buca che nel canto, anche se quest’ultimo a tratti è risultato soverchiato dagli imponenti volumi orchestrali. L’Orchestra areniana si è presentata a ranghi allargati tuttavia molto ridotti rispetto a quelli indicati da Strauss, faraonici e incompatibili con un moderno teatro d’opera. Infatti ad essere eseguita, per la prima volta in Italia, è stata la nuova versione orchestrale di Richard Dünser (edita da Ricordi) che ha ridimensionato l’organico salvando al meglio tutti i colori autorali.

Il difficile dettato, che richiede alle voci di arrivare ai limiti estremi delle possibilità, è stato affidato ad artisti di spessore internazionale, impegnati nel libretto originale in lingua tedesca.
Il ruolo di Elektra è a dir poco impervio, per la tessitura ardita e perché l’interprete è sempre in scena per tutte le due ore scarse dell’atto unico. Il soprano americano Lise Lindstrom è una specialista del ruolo che ha padroneggiato sia sotto il punto di vista canoro, con voce salda come marmo, espressiva, ottimamente proiettata soprattutto negli slanci folgoranti degli acuti, ed estremamente curata nel fraseggio; sia attoriale, avendo evidenziato gli angoscianti tormenti e le dolorose lacerazioni psicologiche del personaggio, forte di carattere e fragile nell’io interiore. Piccola nota di colore: simpaticissimo l’essersi presentata per gli applausi finali con in mano quello che ci è parso essere un biscottone a forma di ascia, supponiamo dono di un ammiratore.

Accanto alla bruna Elektra, la bionda sorella Chrysothemis affidata alla vocalità lirico-drammatica del soprano greco canadese Soula Parassidis, dal timbro energico, rotondo e dalla notevole proiezione; insofferente per la reclusione casalinga e che non esiterà a dare sfogo alle pulsioni carnali con la prima “divisa” di passaggio.
Prestazione di classe per Anna Maria Chiuri mezzosoprano altoatesino che ha vestito i panni di Klytämnestra, come si diceva nell’idea registica rappresentante di un’epoca in disfacimento tuttavia inserita con determinazione nel presente, vigorosa, dai modi sicuri e crudi pur se dall’animo dilaniato e scosso da fremiti di inquietudine. Con timbro caldo brunito e pastoso ha padroneggiato il ruolo dandovi rilievo grazie anche al fraseggio attentamente calibrato sulla frase e sulla parola.

Thomas Tatzl, bass-baritono austriaco ha dato voce calda e salda a Orest che ha conservato appropriato ermetismo. Il tenore americano dall’emissione squillante Peter Tantsits era Aegisth, risultato credibile e non troppo fuori dalle righe pur avendo indossato abiti trasgressivi.
Hanno completato il folto cast giovani artisti emergenti: Nicolò Donini, Precettore; Anna Cimmarrusti, Confidente; Veronica Marini, Caudataria; Stefano Rinaldi Miliani, Servo; Raffaela Lintl, Sorvegliante. Una menzione, nei panni di un Servo, a Leonardo Cortellazzi, solitamente impiegato in ruoli protagonistici e qui prestatosi a un cameo.
Affiatate le ancelle Lucia Cervoni, Marzia Marzo, Anna Werle, Francesca Maionchi e Manuela Cucuccio. Maestro del Coro era Roberto Gabbiani, che ha ben guidato il Coro nel breve intervento fuori scena.
Dopo Elektra la stagione 2025 al Filarmonico si prende una pausa per consentire la messa in moto della gigantesca macchina estiva areniana. Il ritorno al Filarmonico sarà a ottobre con Le Villi, a novembre con Il turco in Italia e a dicembre con Ernani.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 19 marzo 2025
Foto Ennevi
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