Di Maria Luisa Abate. Verona, Teatro Filarmonico: l’animo chopiniano del pianista e il costrutto forma-lirismo del direttore.

Sarà per quel suo irradiare opalescenza lunare autenticamente Romantica; sarà per il cognome Moon che, omen nomen, ha preso il posto dell’iniziale grafia Mun; sarà per la sua aura che induce a pensare che il rapporto con Chopin non sia limitato alla musica ma in lui si estenda fino al midollo. O forse sarà per la maestria tecnica che sembra cozzare con il volto pulito e il fisico esile da ragazzino. Fatto sta che Arsenii Moon, nato nel 1999 a San Pietroburgo, è tra le star del pianoforte oggigiorno più acclamate. La sua carriera concertistica è iniziata col turbo, dopo gli ormai leggendari primi premi conquistati, fra i tanti, in due concorsi tra i più selettivi al mondo e che spesso il primo premio non lo assegnano: il “Busoni” e il “Benedetti Michelangeli”. Durante la conferenza stampa del “Busoni” tenutasi pochi giorni fa, Moon è stato menzionato non solo tra i casi di vincitori che i fatti hanno dimostrato d’aver meritato tale riconoscimento, ma citato anche come uno dei rari esempi in cui l’artista è riuscito davvero a spiccare il volo nella carriera. E che volo!

Arsenii Moon ha fatto il suo debutto nella Stagione Sinfonica di Fondazione Arena di Verona al Teatro Filarmonico. Noi lo avevamo già ascoltato due mesi prima a Mantova, nell’ambito della stagione Tempo d’Orchestra di Oficina OCM (vedi recensione qui). La parte di programma riguardante il solista era la stessa, ossia il Concerto per pianoforte e orchestra n.1 di Chopin, e Moon nelle due città è stato affiancato da orchestre e direttori diversi. Un’occasione quindi di confronto imperdibile per verificare quanto il dialogo orchestrale e quanto le indicazioni direttoriali possano incidere sull’esecuzione del solista. I risultati sono stati molto diversi, ambedue forti d’una indiscutibile qualità.

A Verona era schierata l’Orchestra di Fondazione Arena, sul cui podio è salito Giuseppe Mengoli, direttore anch’egli giovane, pluripremiato e con un curriculum già importante. Anche se dobbiamo confessare che a noi è piaciuto un filo in più quanto ascoltato a Mantova, la giovane età anagrafica di pianista e direttore ha reso speciale il concerto a Verona. Ci spieghiamo: tra il pubblico del Filarmonico è stato tutto un intrecciarsi di paragoni, un citare la maturità interpretativa di Tizio o di Caio. Sbagliato, a nostro modesto parere doversi sempre creare dei punti di riferimento aleatori. Riteniamo che Moon e Mengoli abbiano infuso nell’esecuzione quella stessa freschezza che probabilmente motivava Chopin, che scrisse questo Concerto nel 1830 quando aveva vent’anni. È facile quindi immaginare una consonanza di idee, supporre uno stesso slancio dello spirito, tra interpreti e compositore.

Il gesto delle mani preciso ed eloquente di Giuseppe Mengoli è stato innanzitutto indirizzato al controllo delle dinamiche, mettendo al centro del dialogo strumentale il pianoforte, rispettoso di quella tradizione che, nel caso del Concerto n.1, vuole l’Orchestra in un ruolo di contorno allo strumento solista, attorno al quale erigere un’architettura che nel presente caso si è rivelata accogliente e ben strutturata.

Lo sguardo di Arsenii Moon è sovente corso al direttore, alla ricerca di quella sinergia d’intenti che ha prodotto esiti come si diceva di giovanile freschezza, e ha indotto nella platea quasi un senso di riscoperta per la spontaneità espressiva che ha caratterizzato l’esecuzione.

Di Arsenii Moon confermiamo il giudizio espresso nell’occasione precedente, circa la sua indole chopiniana che lo pone in un dialogo diretto e privilegiato con l’autore. Come già ravvisato lo scorso febbraio, per Moon il pianoforte è voce dell’anima, è occasione di urgenza poetica, introspezione ed esternazione d’un lirismo inquieto e prettamente Romantico. Ci siamo nuovamente beati del suo tocco sui tasti di levità sospesa come in un incanto.

Incanto reso tale anche dalla precisione tecnica di straordinaria scorrevolezza, con cui ha “sciolto i nodi” virtuosistici con nitore e con una brillantezza intelligentemente plasmata sulla linea stilistica impressa dal direttore. E sulla quale Moon ha innestato il proprio gusto per la melodia, per la cantabilità, per lo scorrere fluido del discorso d’insieme. Il garbo, la repulsione per ogni effetto sfacciato e ostentato, contraddistingue il suo tocco e ne proietta il pianismo nella sfera di una bellezza che arriva direttamente al pubblico, senza intermediazioni. Solo in uno dei due bis, la celeberrima “Campanella” di Paganini / Liszt, Moon si è concesso uno sfoggio di virtuosismo fine a se stesso, tra l’entusiasmo incontenibile del pubblico.

Dopo l’intervallo, l’orchestra guidata da Giuseppe Mengoli si è cimentata con un brano “monster”: la Sinfonia n.6 di Beethoven, “Pastorale”, che per stessa specifica del compositore, il quale vi aveva apposto la nota “sinfonia caracteristica”, racchiude in un unico sentimento diverse sfaccettature espressive. Queste ultime sottolineate dalle brevi didascalie che distinguono i cinque movimenti e che alludono a un contesto bucolico o esprimono slancio spirituale verso la divinità. Didascalie indicative di una descrittività non tanto di stampo pittorico ma piuttosto volte a ricreare un’atmosfera totalmente protesa al sentimento.

Il direttore ha pertanto privilegiato una lettura improntata a cercare un punto di contatto tra gli spunti descrittivi e lo scorrere narrativo, tra forma e lirismo. Lo stesso Beethoven, nella cui creatività i musicologi ravvisano una forte comunione di idee con Goethe, nella Pastorale accantona le sue tipiche irruenze ed evita i contrasti decisi nella struttura armonica, con l’eccezione dell’irrompere del temporale nell’Allegro Tuono e Tempesta. Pertanto il direttore ha prescelto un clima elegiaco avente pochi contrasti, in cui i chiaroscuri sono risultati sfumati e i toni pastello giostrati sui crescendo e sui diminuendo, fino allo slancio spirituale verso l’alto dell’ultimo movimento, in cui l’uomo, dopo la tempesta, ritrova la pace interiore.    

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 4 aprile 2025
Foto Ennevi

AVVERTENZA
È fatto divieto a giornali e blog pubblicare integralmente o parzialmente questo articolo o utilizzarne i contenuti senza autorizzazione espressa scritta della testata giornalistica DeArtes (direttore@deartes.cloud).
La divulgazione è sempre consentita, liberamente e gratuitamente
sui rispettivi canali,  a Teatri, Festival, Musei, Enti, Fondazioni, Associazioni ecc. che organizzano od ospitano gli eventi, oltre agli artisti direttamente interessati.
Grazie se condividerete questo articolo sui social, indicando per cortesia il nome della testata giornalistica DeArtes e il nome dell’autore.