Ci illudiamo che ciò che creiamo duri oltre noi.
Non è così, il tempo cancella tutto, intere civiltà e la loro memoria. Corrode i monumenti, scrosta i dipinti, scolorisce le pagine della letteratura, spezza le lapidi.
Ha maggiori chance di travalicare il tempo ciò che è immateriale: un pensiero, un’idea, un sogno, esso solo capace di sottrarre la razza umana alle zavorre terrene.
In una mattinata di sole uguale a tante altre, se ne è andato un “creatore di sogni”. Così Franco Zeffirelli è stato definito da Cecilia Gasdia, nel comunicato diramato da Fondazione Arena di Verona. Luogo che dimostra come l’arte sopravviva all’artista. Ma, si badi bene, a condizione che sia di qualità eccelsa. La nuova inedita Traviata firmata dal Maestro debutta all’Arena – alla presenza del Capo dello Stato Mattarella – dopo meno di una settimana dal giorno in cui il suo ideatore è entrato nella dimensione dell’immortalità.
I mezzi di comunicazione rimbalzano necrologi asettici, coccodrilli preconfezionati già da quando era iniziato il declino fisico del Maestro. Scarsa rilevanza riveste l’elenco dei capolavori, dei premi (pochi) e delle onorificenze, degli amici che sarebbe riduttivo definire illustri. Zeffirelli non è (volutamente usiamo il verbo al presente) questo. La sua grandezza non sta nella materialità del mezzo teatrale, cinematografico, televisivo, bensì nell’immaterialità, in quell’effimero maggiormente sostanzioso del vero che il suo lavoro incarna, che trasmette ai cuori e alle menti perfino di coloro che a teatro o al cinema non sono mai andati. Il significato – meglio sarebbe dire scopo – dell’arte è misurabile sull’impatto che essa ha sui più, anche inconsciamente; su quella parte di umanità che dell’arte non ha sentore ma che, grazie a essa, vive in un mondo dove la bellezza è un valore. Zeffirelli ha contribuito a forgiare un’epoca, a cesellarne i canoni stilistici ed espressivi. Il suo ingegno non può essere imbrigliato nella sola dimensione dello spettacolo, perché, dalla sedia da regista, ha influenzato internazionalmente il pensiero e il gusto estetico del Novecento. Zeffirelli ci ha permesso di guardare il mondo con i suoi occhi e ciascuno di noi, anche grazie a lui, ha potuto scorgere l’universo che sta oltre la fisicità delle cose.
Il Maestro dei Maestri aveva il rimpianto di non essere apprezzato in Italia quanto lo fosse all’estero. Forse per quel campanilismo alla rovescia che ha sempre spinto i critici a … criticare. Nulla di nuovo: nemo profeta in patria, salvo poi l’estremo rimedio. Il canale televisivo principale ha stravolto il palinsesto; ammettiamolo onestamente, solo perché quella sera non era prevista alcuna partita di calcio (peraltro lui avrebbe apprezzato, da accanito tifoso della Fiorentina). Tale inconfutabile verità spingerebbe a ben altra riflessione, sulla quale sorvoliamo perché lapalissiana. Il piccolo schermo ha trasmesso una Traviata in versione film, datata, dai colori un poco sgranati nella pellicola eppure di sgargiante vivacità, sempre in grado di dire qualcosa di nuovo e profondo. Gli è stato dedicato uno special con ospiti attinenti, chi più, chi meno. E i meno sono stati i più. La solita triste corsa al “io c’ero”, “io l’ho conosciuto”, “io una volta ho recitato mezza battuta con lui”. Una fiera mediatica che ha travalicato i propri confini e, sorprendentemente, ha indotto a capire che l’arte, praticata a determinati livelli, assume valenza anche quando è il riflesso di se stessa.
In quella villa romana dove il Maestro è passato alla dimensione onirica, in occasione di una conferenza stampa, proveniente dal gruppo di giornalisti ci ha colpito un commento sulla visibilità. Cara arida ottusa cieca “collega”, ci spiace per te, che non sei contagiata dal sogno. Nell’intimità privata della dimora sull’Appia Antica, il servizio giornalistico, pur doveroso, era secondario. La priorità era rendere omaggio alla grandezza della bellezza, che necessita incessantemente di chi la sappia capire e apprezzare. Chi ha passato l‘intera esistenza a donare agli altri ciò che di suo aveva di più prezioso, il genio, degli altri non può più fare a meno, neppure quando il fisico subisce le ingiurie del tempo. In quell’occasione, a Zeffirelli abbiamo molto semplicemente tributato un altro applauso, senza sapere che sarebbe stato l’ultimo che avrebbe potuto udire. Gli applausi futuri li sentiremo noi per lui. Questo è un altro regalo di cui l’umanità dovrebbe essergli grata.
Maria Luisa Abate